Il cooperativismo economico-sociale nella Russia zarista era poco presente. Le uniche forme organizzative riconducibili al cooperativismo erano fondamentalmente gli artel’, associazioni di artigiani e di piccoli commercianti. La forma più diffusa nella gestione collettiva delle terre demaniali, nota come mir o obščina, non è riconducibile al lavoro associato, avendo più le caratteristiche dell’ordinamento comunistico feudale che della libera scelta d’impresa. Se l’artel’ ha in parte resistito agli sconvolgimenti della Rivoluzione d’ottobre, la sterminata campagna russa fu investita dagli effetti del Dekret o zemle (Decreto sulla terra). Quella misura, adottata subito dopo la conquista del potere da parte dei bolscevichi, in seguito al colpo di stato del 25 ottobre 1917 (7 novembre del calendario giuliano), aveva lo scopo di naziona- lizzare le grandi proprietà della nobiltà e della Chiesa ortodossa per procedere alla distribuzione della terra ai contadini, attesa da secoli.
Anton Semënovič Makarenko conosceva bene questa realtà. Egli aveva una conoscenza empirica dei principali lavori dell’artigianato di villaggio, ma la sua competenza nelle pratiche agronomiche e della conduzione agricola e zootecnica era pressoché piena, come attesta ampiamente e dettagliatamente il Poema pedagogico. Egli era perfettamente consapevole dei limiti di quell’esperienza storica, dovuta soprattutto all’arretratezza della Russia, ma aveva presente il valore che assumeva il lavoro nella società capitalistica, anche se quello salariato era sottoposto a condizioni di disumano sfruttamento. Il lavoro organizzato e associato, pur nei limitati esempi della Russia immediatamente dopo la Rivoluzione, assumeva un significato positivo. Intanto perché rispondeva al nuovo programma politico del governo di Mosca e dall’altro perché conteneva quegli elementi di solidarietà e di coesione sociale, indispensabili per affrontare la drammatica situazione seguita alla guerra civile. L’organizzazione delle colonie e delle comuni per ragazzi senza protezione (besprizornye) assimila e supera quell’esperienza, inserendola nel modello del lavoro socialista e nella gerarchia della struttura del potere, sia nella fase della Nep (Novaja ekonomičeskaja politika) sia nel primo periodo della pianificazione e del primo piano quinquennale (Pjatiletka). Quella stagione sarebbe presto finita, come gli studiosi sanno, ma le opere letterarie che Makarenko ha ricavato da quella straordinaria esperienza, sono una mirabile testimonianza umana, sociale e politica che non può essere cancellata dal revisionismo prevalente seguito al crollo del comunismo o dall’indifferenza di tanta parte della critica storica e letteraria.
La forma cooperativa che noi conosciamo è ben altra cosa rispetto all’organizzazione makarenkiana del lavoro. Essa è basata sui principi dei Probi pionieri di Rochdale che nel 1844 avevano creato, nella omonima città inglese, la prima cooperativa della storia. Quel primigenio esempio si sarebbe moltiplicato in forme originali in tutta Europa, grazie all’opera di uomini come Giuseppe Mazzini, Luigi Luzzatti, Louis Blanc, George Jacob Holyoake, Friedrich Raiffeisen, Vahan Totomianz. Nel corso del Novecento avrebbe conseguito uno sviluppo impetuoso anche in altri continenti, con risultati molto significativi in paesi come USA, Canada, Cina, Giappone, India. In questi paesi si segnalano attualmente crescite considerevoli di società, soci, volumi di affari.
Ma tutto questo non ha niente a che fare con Makarenko e la sua pedagogia. Il lavoro è componente essenziale della sua concezione pedagogica, rivolta al recupero dei ragazzi difficili, finalizzata alla formazione dell’uomo nuovo per contribuire alla costruzione della società socialista e per essere partecipe e protagonista dello slancio e del processo rivoluzionari. Nella concezione di Anton Semënovič Makarenko e nell’esperienza delle colonie e delle comuni il lavoro non è fine a se stesso, strumento per impiegare e fare trascorrere il tempo, espediente per tenere occupati i ragazzi distogliendoli dall’ozio, ma assume i caratteri di una vera e propria attività produttiva, di una impresa vera e propria, con tanto di budget e di controllo di gestione, come si direbbe oggi. Il lavoro come strumento per produrre beni materiali e quindi ricchezza, nel senso socialista del termine e non come profitto. Ecco dunque il progetto per la conduzione di terreni agricoli o per costruire macchine fotografiche e altri beni materiali, condotto dai ragazzi con l’aiuto di collaboratori esperti. Nasce una contabilità dettagliata dei costi di produzione per ciascun prodotto finito, confrontata con quelli di aziende similari per essere competitivi, accanto ai prezzi praticati nella vendita alle società commerciali. Si crea un circuito virtuoso di emulazione nell’organizzazione del lavoro e nella produttività, secondo l’espressione moderna, che vede entusiasti e responsabili protagonisti i colonisti e i comunardi, sotto la vigile guida del direttore delle strutture, ovvero dello stesso Makarenko e in contrasto talvolta con le opinioni tecniche degli esperti provenienti dall’esperienza capitalistica precedente la Rivoluzione.
Quindi, il lavoro come strumento rieducativo e formativo, alla stessa maniera di quanto accade nella società cooperativa ottocentesca e del Novecento, oltre a quelle odierne a carattere sociale e pedagogico-formativo. Cos’altro è la scelta dei ragazzi di prendere parte a un collettivo rispetto ad un altro, se non un diretto e primordiale esercizio di responsabilità, al pari di quanto accade nella cooperativa, in base al principio di mutualità, solidarietà, sussidiarità.
Pertanto, il collettivo come cooperativa, il Consiglio dei Comandanti come Consiglio d’Amministrazione della società di persone, il direttore della colonia come presidente della società cooperativa stessa. Dov’è la differenza, verrebbe da domandarsi! La differenza consiste nelle regole di formazione degli organismi: nella cooperativa dalla libera assemblea dei soci; nella colonia dall’intreccio tra Direzione scolastica (il famoso Olimpo pedagogico!), l’assemblea dei colonisti e dei comunardi. Ma come si sarebbe potuto fare diversamente nella terribile realtà immediatamente successiva alla guerra civile, in piena disgregazione economica e nella devastante carestia presente in moltissime oblast’ (ex-gubernja dell’epoca zarista) nella nascente Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche…
Il confronto tra l’esperienza makarenkiana e le varie iniziative pedagogiche indirizzate al recupero di ragazzi difficili nella complessa e disarticolata società contemporanea, dimostra come le cooperative di lavoro e quelle sociali odierne e le più differenti forme di comunità e di volontariato, pur nel mutato contesto storico, economico e sociale, assumono positivamente l’esempio delle colonie Gor’kij e Kurjaž raccontate nel Poema pedagogico e della comune Dzeržinskij tracciate in La marcia dell’anno ’30 e del successivo romanzo Bandiere sulle torri. Tale assunzione è talvolta diretta, ma molto più sovente avviene in modo inconsapevole. Pesano una lunga e diffusa non conoscenza della storia e un pregiudizio di tipo politico, frutto di non approfondito e compiuto studio del pensiero makarenkiano: metodi coercitivi e autoritari, indottrinamento ideologico, abbandono della pedagogia del singolo a favore del gruppo e del collettivo, sono i principali elementi di disorientamento e di rifiuto.
Eppure, non basta negare il riferimento a Makarenko per cancellarne la traccia. Altro richiamo che può essere fatto, in senso lato nel tempo più recente, è l’esperienza di Muhammad Yunus. L’organizzazione e la gestione del microcredito puntano sulla crescita della responsabilità dei beneficiari e sull’organizzazione del comitato di villaggio, il cui funzionamento rimanda al cooperativismo e il cui obiettivo è anche la formazione di cooperative per rispondere meglio alle esigenze degli abitanti. Makarenko non ha come principale obiettivo la costituzione di cooperative, ma la formazione dell’uomo nuovo attraverso il collettivo. Quello stesso uomo nuovo che sarebbe diventato protagonista della costruzione della società socialista, di cui la cooperativa sarebbe stata una struttura portante. Cooperativa dell’economia di comando nel paesi del socialismo reale, certamente, ma sempre con riferimento all’associazione di uomini e non di capitali.
Un altro campo di applicazione del lavoro inteso come fattore rieducativo riguarda i detenuti. Negli ultimi decenni sono state compiute positive esperienze in Italia, in altri paesi europei e di altri continenti. L’attività produttiva, spesso organizzata sotto forma cooperativa, ha lo scopo di produrre beni e servizi che creano reddito per gli stessi detenuti, spesso in accordo con le istituzioni pubbliche e con le organizzazioni di assistenza e tutela e che hanno anche e soprattutto l’obiettivo del futuro reinserimento sociale. Ecco il positivo intreccio tra la certezza della pena, la funzione rieducativa e la creazione degli strumenti per la successiva vita all’esterno del carcere. Se si chiede al direttore di un penitenziario o al responsabile di un’associazione su quanto progettato e realizzato, costoro sicuramente risponderanno che quell’esperienza non ha alcun riferimento a Makarenko, di cui ignorano spesso anche il nome…
Bastano questi pochi esempi per mettere in evidenza l’importanza culturale di una nuova traduzione del Poema pedagogico. In questo caso si tratta di un vero e proprio avvenimento, trattandosi di una traduzione contenente numerose parti inedite che gettano nuova luce sui contenuti dell’opera e del pensiero makarenkiani. Non si tratta soltanto di un meritorio im- pegno accademico portato avanti da Nicola Siciliani de Cumis, uno dei maggiori studiosi di Makarenko al mondo, al quale hanno preso parte moltissimi studenti che frequentano i corsi universitari che egli tiene presso la Facoltà di Filosofia dell’Università di Roma da quasi venti anni, ma di una importantissima occasione culturale e politica per diffondere l’esperienza (ri)educativa, formativa e organizzativa di Anton Semënovič Makarenko. Bisogna sgombrare il campo dal contesto storico, politico e di conseguenza ideologico in cui l’esperienza colonista e comunarda si è manifesta. Il comunismo realizzato e le degenerazioni staliniane sono storia passata. Una storia fatta di tragedie, sangue, lutti, dolore. Ma resta una traccia importante delle attese, della speranza e degli slanci che quella stagione rivoluzionaria ha aperto. Tra queste, la lezione di Makarenko è tra le più valide, accanto alle voci poetiche, artistiche e scientifiche tra le più alte dell’intero Novecento.
Questa nuova traduzione ci aiuta a non dimenticare, incitandoci all’esercizio critico in sede storica, proprio per non venire meno al valore della ricerca come dovere e scelta di verità.
Università di Roma “La Sapienza”, giugno 2009
Agostino Bagnato